Lo spirito imprenditoriale non tarda ad affiorare già in tenera età, stimolato anche dall’esempio dal grande papà che, damigiana in spalla, una volta terminato l’orario di lavoro in fabbrica, si recava alla fonte di Cirimbilla (così ribattezzata dal nome del contadino che risiedeva nei paraggi), situata in collina e distante alcuni chilometri, per riempirla con quell’acqua purissima e leggerissima (acqua che il medico del paese Dottor Vischia prescriveva) che poi rivendeva per poche lire a bottiglia ai suoi compaesani.
Lo stipendio del padre era sufficiente per non far mancare nulla ai propri figli, ma non per acquistare oggetti di desiderio quali “la” bicicletta, ambitissima da molto tempo dal nostro piccolo Alceste, che per raggiungere il suo sogno, si costruì un contenitore da appendere al collo, poi utilizzato per vendere caramelle e bibite durante le pause dei film nel locale Cinema Eden.
La scaltrezza del giovane imprenditore già trovava sfogo nei suggerimenti che elargiva al proiezionista “Culino”, invitandolo a far “saltare” la pellicola del film in diverse occasioni durante la visione, così che potesse passare tra gli spettatori e vendere molte più caramelle e bevande.
Fu scontato che con quei piccoli guadagni riuscì ad acquistare l’amata bicicletta.
Durante una delle tante attività svolte all’interno del cinema, fra le quali attacchino di manifesti, compilatore di borderò e galoppino, oltre naturalmente che assistente proiezionista con specializzazione nell’ “infilaggio” di dita nel proiettore (nonostante le ripetute raccomandazioni di non farlo da parte del paziente “Culino”), viene a sapere dall’anziano amico “Canzio”(che dobbiamo ringraziare per aver dato il via alla lunga carriera di Alceste), che Alfredo e Mario Pagnottini, titolari di uno dei due negozi di scarpe del paese, stavano cercando un ragazzino come aiuto di bottega.
La decisione fu immediata e Alceste si presentò al capezzale dei Pagnottini il giorno seguente, alla tenera età di 13 anni…era il 1959.
Fu amore a prima vista con quel lavoro e con le scarpe, anche se di frequente il nostro se ne tornava a casa a letto dopo aver subito un rimprovero da parte di Alfredo, che con pazienza lo rimandava a chiamare da Mario il postino.
L’anno successivo papà Mariano andò in pensione, lasciando libero un posto da operaio al lanificio del paese (lavoro ambitissimo da tutti i paesani).
L’allora proprietario della fabbrica Giancarlo Guelpa, come era consuetudine in quegli anni, propose al neo-pensionato papà, se il figlio volesse prendere il suo posto, ma con grande delusione e anche una buona dose di arrabbiatura, soprattutto da parte della mamma, Alceste rifiutò quel lavoro ritenuto “sicuro” con un perentorio “Io ‘n ce vo’!” (Trad.: Io non ci vado!).
Ormai la strada era tracciata, il suo posto sarebbe stato tra le scarpe.
Quel ragazzino pestifero ci sapeva fare e passò venti anni nel negozio dei Fratelli Pagnottini, acquisendo esperienza e diventando il braccio destro dei titolari, ma soprattutto guadagnandosi la stima dei suoi compaesani, una volta vessati dalla sua vivacità.